La tecnologia: rischio o risorsa?

 

 

Se è vero che molti studiosi vedono la tecnologia come un pericoloso fattore di aggressione agli ecosistemi è altrettanto vero che esiste un importante filone che considera invece la tecnologia come la vera carta da giocare nel percorso di ricerca per la sostenibilità.

Immagine tratta da http://departamentos.unican.es/dama/images/img/img13.jpg
Universidad de Cantabria - Departamento de Ciencias y Técnicas del Agua y del Medio Ambiente

 

Naturalmente si tratta di due visioni poco conciliabili, riferite per lo più, la prima all'ambito culturale ambientalista, la seconda al pensiero economico.

Molti economisti, preoccupati anch'essi della capacità dell'uomo di gestire uno sfruttamento delle risorse sostenibile nel tempo (naturalisti e biologi, invero, sono preoccupati per la capacità dei sistemi naturali di sostenere l'impatto umano... la differenza di prospettive è qui radicale!), ritengono in linea di principio immaginabile una progressiva sostituzione del capitale naturale che dovesse esaurirsi o depauperarsi con adeguati stock di capitale artificiale. Questa premessa fornisce alla tecnologia - vero motore della macchina produttiva umana, costruttrice di capitale artificiale - un ruolo di primo piano; essa viene chiamata in causa per trovare soluzioni capaci di rimpiazzare servizi e materiali naturali nel momento in cui questi vengano a mancare.

Immagine tratta da http://grin.hq.nasa.gov/ABSTRACTS/GPN-2000-000650.html

Ed, in effetti, questo è già successo molte volte: ogni qualvolta un prodotto è entrato in condizioni di scarsità (in termini assoluti o anche solo per mancanza di convenienza economica) i meccanismi del mercato ne hanno fatto crescere il prezzo, incentivando la ricerca di soluzioni alternative: la tecnologia propone così un nuovo prodotto, capace di sostituire quello precedentemente usato. Questa dinamica avviene per motivi diversi e, negli ultimi decenni, anche per ragioni legate alla conservazione ambientale.

Secondo questo pensiero, è veramente possibile - applicando la potenza della tecnologia allo sviluppo di soluzioni meno impattanti sull'ambiente - migliorare la situazione in riferimento a temi quali l'inquinamento, lo smaltimento dei rifiuti, la conservazione della biodiversità e così via.

Un esempio che descrive questo fenomeno è dato dalle curve alla Kuznets, rappresentazioni grafiche che, mettendo in relazione il potenziale economico (e quindi anche tecnologico) di un paese con il livello di degrado ambientale, descrivono un andamento che, dopo una prima impennata, stabilizza la propria crescita per poi ridursi progressivamente. D'altro canto è sufficiente pensare a paesi come la Svizzera o gli stati Scandinavi, comunità nazionali ricche, il cui territorio vanta un livello di integrità ambientale piuttosto alto.

La tecnologia ha dunque credenziali importanti per la propria candidatura a strumento per l'incremento di sostenibilità.

Immagine tratta da: http://politicheambientali.provincia.venezia.it/educazione/sviluppo/didattico/SobriFelice/capaci_futuro_svil_sost.htm

Esistono però altre correnti di pensiero, che non credono nella possibilità di sostituire il capitale naturale con capitale artificiale. In quest'ottica, il capitale artificiale, comunque venga creato, è sempre riconducibile ad una o più risorse naturali che ne stanno alla base; il fatto che il pianeta rappresenti l'orizzonte unico e finito entro cui l'umanità attua i suoi interventi, obbliga a considerare le risorse naturali in termini di quantità limitate ed esauribili.

In particolare, viene presa in considerazione l'estensione di superficie della Terra e si analizza la sua capacità produttiva. La biocapacità diventa il metro di misura per stabilire quanto un territorio possa produrre in termini di materiali e servizi nell'unità di tempo, che di solito è l'anno.

La biocapacità del pianeta è considerata un dato pressoché costante, dal momento che si attua a partire dalla materia presente sulla Terra.

Ciò che varia è il prelievo di risorse da parte dell'uomo e questo è il dato che interessa calcolare.

L'indicatore noto come "Impronta Ecologica" è stato sviluppato proprio per quantificare la superficie di territorio (mare e terra) necessaria per produrre beni o servizi.

Immagine tratta da http://www.firenzeinbici.net/articolo.asp?id=32

Davvero interessanti sono i risultati di studi applicati alla produttività degli stessi beni in condizioni di maggiore o minore tecnologia applicata. In numerosi casi, si è visto che grazie alla tecnologia si raggiungono effettivamente importanti incrementi della produttività, ma il consumo globale di risorse risulta essere aumentato a sua volta, e di un fattore superiore a quello della produttività. Il caso delle coltivazioni di pomodori in campo o in serra spiega in modo piuttosto chiaro questa contraddizione, dove per migliorare i risultati produttivi di 7-9 volte, si consuma 10-20 volte di più.

Questa apparente contraddizione è spiegabile dal fatto che l'Impronta Ecologica considera tutti i processi coinvolti nella realizzazione di un bene, fino alla quantità di ambiente necessaria per smaltire i prodotti di scarto. E' un procedimento che tende a inglobare nel calcolo tutte quelle esternalità di cui l'approccio economico spesso non tiene conto.

Ed è proprio questa visione sistemica che consente di sollevare obiezioni alle conclusioni suggerite dalle curve alla Kuznets, dove il modello economico globale, fatto di scambi a livello planetario e rappresentato dal PIL pro-capite viene confrontato con una misurazione delle variabili ambientali condotta a livello locale.

Ancora una volta sono i confini, le scale spaziali a confondere e creare scarsa comunicazione tra le discipline.

Altre volte gli squilibri nascono dalla scarsa conoscenza, dall'abitudine a considerare i problemi in modo lineare, secondo una visione riduzionista. In questo modo, importanti iniziative internazionali concepite per fornire opportunità positive a vaste aree del pianeta si sono scontrate con la complessità del mondo naturale e con le interazioni tra ecosistemi e organizzazioni sociali.

Un esempio in tal senso viene dal programma FAO di sviluppo dell'acquacoltura nei paesi tropicali. Proposto per aumentare la quantità e la qualità di cibo disponibile per le popolazioni, ha prodotto scompensi e squilibri sia sul piano ecologico che su quello sociale.

Sembra quindi che la discussione sul ruolo e sulle potenzialità della tecnologia vada ampiamente integrata da una riflessione sulla conoscenza, sulle modalità di applicazione, tenendo puntato uno sguardo sul livello di incertezza dei sistemi con i quali andiamo ad interagire.

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